■ La croce: la risposta dell’uomo all’amore di Dio ■
Fondamentalmente, lo scenario che fa da sfondo alla richiesta di questo supplizio, lascia capire chiaramente che avevano ormai deciso di far morire Gesù Cristo; sulla terra non c’era posto per quest’uomo che diceva di essere il Figlio di Dio. No, la terra era considerata troppo santa per lui. Doveva esserne espulso, è come se si fosse voluto dire: Vattene e torna lì da dove sei venuto! Non ti vogliamo e non abbiamo bisogno di te. Lasciaci in pace con i tuoi strani insegnamenti! Sei un sobillatore della nostra chiesa e della nostra società! Fuori!
Non si diedero pace finché non fu elevato in croce sul monte Golgota, in mezzo a due criminali crocifissi, ed esposto alle beffe e agli scherni della moltitudine.
Esistono, ore nella storia del genere umano, che sono avvolte da tenebre abissali. Momenti che, si vorrebbero far sparire e che, sono un documento che attesta le profondità della cattiveria umana. Quando gli uomini inchiodarono il loro Creatore su una croce, dimostrarono chiaramente, e in modo definitivo, fino a che punto la loro giustizia, religiosità e amore per la verità erano caratterizzati dalla falsità; perché inchiodarono trionfanti sulla croce, il Figlio di Dio – l’amore di Dio personificato.
Non so se ricordate il versetto più famoso del Nuovo Testamento: «Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque creda in lui non perisca, ma abbia vita eterna.» (Giovanni 3:16)
Tenendo a mente quest’affermazione, appare chiaro che quella croce, dove fu inchiodato il Figlio di Dio, è la risposta dell’uomo all’amore di Dio cioè il pugno chiuso delle creature contro il proprio Creatore!
Il filosofo Soren Kierkegaard ha riflettuto molto sulla croce. In una delle sue opere dice: «Per me è sufficiente questo: ho visto l’amore tradito, ed ho compreso qualcosa di me stesso, ed è che anch’io sono uomo e che essere uomo significa essere un peccatore…
La razza umana crocifisse colui che era il Redentore; proprio perché appartengo a quella razza, sento di aver bisogno di un Redentore… Poiché ho paura di me stesso, voglio cercare il mio rifugio in colui che è stato crocifisso. Voglio chiedergli di salvarmi dal mal di me stesso.»
Io ero giovane quando compresi ciò che avvenne sul Golgota e, da quel momento in poi, non ho potuto proseguire vivendo come avevo fatto fino allora. La croce mi aprì gli occhi, costringendomi a confrontarmi con la mia peccaminosità e la mia colpa, tanto da farmi desiderare ormai solo due cose: essere liberato dal peso del mio peccato e, ricevere l’opportunità di rispondere in modo appropriato all’amore incomprensibile del mio Signor Gesù Cristo. È mai possibile che una persona passi indifferente davanti a quella croce? Davvero si può fare?
■ La croce: la risposta di Dio all’odio degli uomini
Finora si è considerato chiaramente solo un aspetto della croce.
Sul Golgota, non solo si manifestò quanto era grande l’odio degli uomini nei confronti di Dio, ma la croce è altresì una prova inconfutabile dell’amore inconcepibile di Dio per gli uomini. Se mi si consente di parlare di Dio in termini umani, direi che Dio possiede soprattutto due attributi: da una parte, ci sono la sua santità e giustizia assolute. Egli non può tollerare né ignorare il peccato. Come un agente del fisco incorruttibile, deve chiedere un giusto castigo per ogni peccato.
Dall’altra parte, il secondo grande attributo di Dio è il suo amore assoluto.
È suo desiderio che tutti gli uomini entrino in relazione con lui, per concedere la sua misericordia, la sua pace e la sua gioia.
La sua giustizia richiedeva la condanna di ogni uomo, perché tutti erano colpevoli – il suo amore invece cercò la salvezza di tutti gli uomini.
Poteva mai esistere un denominatore comune fra la giustizia e l’amore di Dio? Come poteva trovare Dio un fondamento comune per offrire la sua grazia all’uomo ribelle, senza però tradire la sua giustizia?
Se volete veramente comprendere l’essenza del piano di Dio per la salvezza, provate a comprendere il problema.
Per Dio c’era solo una possibilità giusta di perdonare l’umanità colpevole: Un uomo innocente doveva espiare i peccati del genere umano colpevole, sostituendosi a loro. La Bibbia chiama quest’atto espiazione.
Nella storia dell’umanità non era mai esistito alcun uomo che avesse vissuto senza peccato e perciò, nessuno era in grado di compiere l’espiazione come sostituto. Dio aveva solo una possibilità: Gesù Cristo, Suo Figlio, che dovette farsi uomo, per morire come sostituto al fine di espiare i peccati dell’umanità, perché Dio potesse offrire la sua grazia e il suo perdono a causa di quel sacrificio.
Il significato più profondo della croce sul Golgota, però, rimase velato all’osservatore superficiale: infatti, quando all’improvviso, e in pieno giorno, ci fu un inaspettato oscuramento del sole, che gettò il paese nelle tenebre, l’odio degli uomini passò subito in secondo piano. Nessuno tra la folla sospettò qualcosa di quel che stava accadendo nell’oscurità. Mentre i romani probabilmente correvano in fretta a Gerusalemme per cercare delle torce, onde poter fare provvisoriamente luce sulla scena, il Dio giusto regolò i conti con Gesù Cristo crocifisso al nostro posto per i nostri peccati.
Ai suoi discepoli, che a volte sognavano un posto di ministro nel regno dei cieli, già mesi prima, Gesù Cristo aveva chiarito inequivocabilmente:
«Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire, e per donare la sua vita come prezzo di riscatto per molti.»
(Marco 10:45)
In quella totale oscurità, era ormai giunto il momento.
Nelle tenebre assolute e nel più completo abbandono, Dio fece i conti con Gesù Cristo, per risolvere il problema fondamentale, fra Dio e gli uomini: il peccato. E il Figlio di Dio, che disse di essere la «vita eterna», morì per saldare il conto dei nostri peccati. Non morì a causa delle torture inflitte dagli uomini. Morì perché volle pagare il prezzo del nostro riscatto. E a tal fine dovette essere sparso il sangue di un innocente. Non c’era alcun’altra possibilità di salvezza.
Il grido disumano di Gesù sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» permette di gettare un po’ di luce su quant’era davvero terribile la situazione. La gente non voleva Gesù. Lo allontanarono dalla terra crocifiggendolo. «Vattene! Ritorna lì da dove sei venuto!»
Il cielo non poté riceverlo, quindi Gesù rimase sospeso fra cielo e terra sul legno della maledizione, quale grande mediatore fra un Dio giusto e gli uomini peccatori. Lì prese su di sé l’ira di Dio per il peccato dell’umanità, come un parafulmine che attrae a sé la saetta distruttrice per salvare la casa e i suoi abitanti.
Lì sulla croce Dio, quale giusto giudice, dovette castigare l’unica persona innocente; perché quest’uomo perfetto, Gesù Cristo, che allo stesso tempo era Figlio di Dio, si offerse come gran rappresentante di tutta l’umanità.
E quando morendo Gesù esclamò: «E’ compiuto!», il prezzo del riscatto fu pagato e il piano divino per la salvezza poté adempiersi.
Mentre la moltitudine, turbata dall’oscurità e dal modo strano in cui Gesù morì, si disperse piuttosto silenziosa e mossa da un presentimento indefinito circa il fatto che qualcosa d’incomprensibile era successo lì sulla croce, la natura si rivoltò.
La Bibbia dice che le rocce di Gerusalemme si spezzarono e che la terra tremò. Nel tempio inoltre, il prezioso e pesante velo, posto davanti al luogo santissimo, si squarciò in maniera inconsueta.
Sicuramente ora, sorgeranno senz’altro diverse domande cui, dopotutto, un essere umano non può certo rispondere esaurientemente: è mai possibile che, un solo uomo, possa cancellare i peccati di miliardi di persone?
Com’è potuta accadere una cosa simile nelle poche ore della crocifissione? Com’è possibile inoltre che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, possa essere stato abbandonato da Dio?
Si racconta che Johan Sebastian Bach quando stava componendo la Passione tratta dal vangelo di Matteo, essendo giunto all’episodio della crocifissione esclamò profondamente commosso: «Dio abbandonato da Dio – chi potrà mai comprenderlo?»
Rimango pieno d’ammirazione davanti a questo miracolo incomprensibile. Forse un esempio vero, tratto dalla storia recente, ci aiuterà a comprendere cos’è la sostituzione.
Auschwitz, 1941. Ventimila prigionieri, maggiormente polacchi, vivevano in questo campo di concentramento così atroce. Con loro, Padre Maximilian Kolbe. Una sera, un prigioniero riuscì a fuggire dall’isolato quattordici, quello degli invalidi. Immediatamente il comandante Fritsch inviò i suoi soldati in cerca del fuggitivo. Passando in rassegna i prigionieri la stessa sera dichiarò: «se non lo cattureremo entro domani mattina, dieci di voi moriranno di fame in cella di rigore»!
Il mattino seguente, i prigionieri si misero in riga alle cinque, per subire l’ispezione e per rimanere sull’attenti per 11 ore sotto il sole cocente.
Quasi alle 18 apparve il comandante; ispezionò le file senza proferire parola e scelse le dieci vittime. Il decimo fu franciszek Gajowniczek.
Una grossa ferita sulla testa e la bocca quasi completamente sdentata, erano la testimonianza delle frustate quotidiane. Stanco e apatico, uscì dalla fila, avanzò e a un tratto, si batté il petto coi pugni ed esclamò:
«La mia povera moglie! I miei poveri figli!»
Mentre tutti gli altri compagni osservavano in silenzio la penosa scena, un prigioniero smunto si presentò davanti al comandante.
«Che vuole questo maiale polacco?», gridò il comandante Fritsch.
«Vado io al posto suo!», supplicò il compagno indicando il padre di famiglia disperato.
Con uno spintone Franciszek Gajowniczek tornò nella sua camerata e, al posto suo, i soldati trascinarono Padre Kolbe nella cella di rigore, per morirvi di fame. Quando dopo vari giorni a digiuno non era ancora morto, gli iniettarono fenolo togliendogli così la vita. Il 14 agosto del 1941 muorì Maximilian Kolbe all’età di quarantasette anni, affinché vivesse il suo compagno condannato a morte, Franciszek Gajowniczek.
Questa è la sostituzione!
Come paragone, questa storia, naturalmente zoppica.
Dio non è un comandante crudele e senza scrupoli che reclama la morte di uomini innocenti. E, dopo tutto, Padre Kolbe, nonostante il suo sacrificio disinteressato, era un uomo che sapeva di essere peccatore. La sua sostituzione volontaria però, ci ricorda quel che fece Gesù Cristo, cioè il suo grande esempio: in dimensioni completamente diverse.
Sul Golgota, il Figlio di Dio si mise davanti all’umanità proteggendola, per ricevere lui stesso la giusta sentenza di morte da parte di Dio, offrendo la sua vita per coloro che lo odiavano e volevano disfarsi di lui.
Così caro fu il costo della nostra salvezza.
Wolfgang Bühne
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