Avendo dedicato molti anni allo studio delle lingue bibliche, sia in istituzioni evangeliche che non, sia in Italia che all’estero, pubblicherò periodicamente, compatibilmente agli impegni di lavoro, spunti di esegesi sulle Scritture ebraiche dell’Antico Testamento e su quelle greche del Nuovo Testamento. Il mio assoluto amore per la Parola di Dio m’impone di concentrarmi sulla traduzione e sulle varie sfumature che si evincono dai testi originali ed evitare le questioni interpretative (compito più di pastori e teologi). Non avendo vincoli denominazionali sono libero di lasciarmi guidare esclusivamente dai testi originali, senza escludere che, per quanto mi sforzi, non possa non risentire di eventuali condizionamenti dovuti alla mia trascorsa esperienza nel movimento pentecostale che non rinnego ma con cui non mi identifico più. Se fossi stato più bravo con questi aggeggi elettronici, forse avrei aperto un blog da dedicare esclusivamente all’analisi e alla traduzione dei testi sacri, ma purtroppo sono una schiappa, ed è già tanto per me avere questa pagina. Inizierò pubblicando un estratto del mio libro “Dov’è la Chiesa” (credo ancora in commercio) che pubblicai agli inizi nel 2012, prima che questioni personali e familiari mi inducessero a prendere la decisione di farmi da parte per un po’ (sebbene ultimamente, dopo un periodo di “guarigione” interiore, Dio stia mettendo di nuovo quello zelo per mettere al servizio degli altri i doni che Egli mi ha dato). Mi piacerebbe interagire con rispetto civico e amore cristiano tutti coloro che amano lo studio delle lingue bibliche, anche per confrontarci, ma sempre con l’unico obiettivo di onorare il Signore e fare emergere il vero significato delle Sacre Scritture con i loro significati espliciti e impliciti che purtroppo spesso si perdono nelle traduzioni. Condicio sine qua non, è l’assoluta fede nella Bibbia quale unica e infallibile Parola di Dio, scevra da errori ed ispirata in ogni sua singola parola, perché purtroppo ho notato recentemente la presenza qua e là nelle denominazioni di massoni che con dolce e lusinghiero parlare stanno ingannando i semplici (Rom 16:18).
Introduzione
Partiamo leggendo il brano nel testo greco, e per venire incontro anche a chi non è ben addentrato con questa lingua pubblicherò il testo interlineare greco-italiano edito dalle edizioni San Paolo a cura di Piergiorgio Beretta. Testo greco è quello dell’edizione critica di Nestle-Aland (XXVII edizione) mentre la traduzione interlineare è quella del sacerdote cattolico Alberto Bigarelli che purtroppo non è sempre impeccabile.
La posizione degli studiosi non è unanime sull’interpretazione di questo versetto, poiché per alcuni qui si parla di cinque ministeri, mentre per altri i ministeri sarebbero quattro. Ad esempio, Grudem scrive:
“Probabilmente una traduzione migliore del testo greco di questo versetto (Ef 4:11) è “pastori-dottori” (un gruppo) e non “pastori e dottori” (due gruppi)” [1].
Anche John MacArthur dice la stessa cosa:
“Il termine pastore (poimēn) è usato insieme a dottore. La costruzione greca indica che i due termini vanno insieme, e in italiano potremo tradurli mettendo in mezzo un trattino: pastori-dottori” [2].
Ma le cose stanno veramente cosí? È proprio vero che la costruzione greca andrebbe tradotta «pastore-dottore» con un trattino? Tutta la questione ruota attorno alla congiunzione «e».
È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori (gr. poiménas kài didaskálous).
Coloro i quali, come Grudem e MacArthur, sostengono che qui si parli di quattro ministeri, ritengono che «pastori» e «dottori» costituiscano un unico ministero poiché i due sostantivi sono uniti dalla congiunzione «e» (gr. kài). Essi si basano su una regola della grammatica greca antica che prende il nome di colui che l’ha scoperta e formulata: Granville Sharp.
La regola grammaticale di Granville Sharp
Quando il copulativo kài connette due sostantivi nello stesso caso (vale a dire nomi di descrizione personale, oppure sostantivi o aggettivi o participi …), se l‘articolo ho, o uno dei suoi casi, precede il primo nome, o participio, e non si ripete prima del secondo nome o participio, il secondo ha sempre relazione con la stessa persona che è espressa o descritta dal primo nome o participio: cioè denota un’ulteriore descrizione della persona menzionata prima [3].
Ora, basarsi sulla regola formulata da Granville Sharp per unire i due ministeri di «pastore» e «dottore» è errato poiché in realtà essa non è applicabile al testo di Efesini 4:11. Infatti uno studioso, esperto di greco biblico, che ha approfondito la questione ha rilevato che questa regola non è applicabile nei casi di: nomi propri, sostantivi plurali e costruzioni impersonali [4]. Ecco, di seguito, alcuni esempi in cui la regola di Granville Sharp non si applica:
molti farisei e sadducei (Mt 3:7);
degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi (Mt 16:21);
Gesù entrò nel tempio, e ne scacciò tutti quelli che vendevano e compravano (Mt 21:2);
un gran numero di nobildonne greche e di uomini (At 17:12).
È evidente come in ognuno di questi casi i due sostantivi plurali (tre in Mt 16:21) non si riferiscano alle stesse persone sebbene siano congiunti da kài. Allo stesso modo in Efesini 4:11, poiché i sostantivi «pastori» e «dottori» sono al plurale, non possono riferirsi alle stesse persone, per cui la regola grammaticale decade.
Inoltre, vorrei fare notare il brano di di Matteo 21:12 in cui leggiamo che Gesú «scacciò tutti quelli che vendevano e compravano nel tempio» (gr. toús pōloûntas kài agorázontas, lett.: «i vendenti e compranti»). Ora, nessuno può ragionevolmente supporre che qui siano descritte le medesime persone nell’atto di vendere e comprare contemporaneamente.
Marginalmente vorrei fare notare un altro esempio che troviamo nella versione greca dell’Antico Testamento, la Septuaginta. In Proverbi 24:21 leggiamo: φοβοῦ τὸν θεόν, υἱέ, καὶ βασιλέα (foboûtòntheón,huié,kàibasiléa) ossia: «Figlio mio, temi il Signore e il re». Due persone chiaramente distinte, «Dio» e il «re», sono congiunte in greco da kài, sebbene la costruzione della frase non sia propriamente identica.
Ritornando, dunque, al testo di Efesini 4:11, è vero che tra i due termini vi è, come dire, una certa «vicinanza» sintattico-grammaticale, ma non fino al punto da fonderli o, addirittura, confonderli. D’altra parte, sempre nella stessa epistola, troviamo una costruzione grammaticale simile che getta ulteriore luce su quello che stiamo dicendo: “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti” (gr. tôn apostólōn kài prophētôn) (Ef 2:20).
Ora, come si può facilmente notare, nel testo greco di Efesini 2:20 vi è una sfumatura che si perde nella traduzione, e cioè che i sostantivi plurali «apostoli» e «profeti» sono, per cosí dire, «avvicinati» dalla congiunzione kài senza che l’articolo al genitivo plurale tôn si ripeta prima del secondo nome. Ovviamente, questo non significa che «apostoli» e «profeti» debbano essere confusi, poiché è pacifico che essi costituiscono due gruppi distinti di due ministeri separati tra loro, e fanno bene le Bibbie a tradurre «degli apostoli e dei profeti». La costruzione grammaticale, però, ci dice che vi è, come dire, una «vicinanza» di natura teologica e spirituale tra questi due ministeri, come abbiamo visto a pagina 152 (del volume “Dov’è la Chiesa?”). Lo stesso vale quando in Efesini 4:11 leggiamo i sostantivi plurali «pastori» e «dottori». Si tratta di due ministeri distinti e separati, sebbene molto vicini tra loro.
Il buon senso
D’altra parte, se i ministeri fossero quattro, allora dovremmo giocoforza concludere che tutti i pastori siano dottori e tutti i dottori siano pastori, mentre il buonsenso e l’esperienza ci dicono che le cose non sono affatto cosí, poiché è possibile essere degli ottimi insegnanti pur non essendo affatto dei pastori e viceversa. Certo, come già detto, non credo che sintatticamente sia possibile escludere un collegamento stretto tra questi due ministeri, ma è del tutto fuorviante fonderli. Per quello che comprendo, «pastori» e «dottori» costituiscono due ministeri distinti e separati, sebbene possano avere funzioni parzialmente coincidenti, nel senso che, sebbene i pastori possano insegnare – poiché questo è uno dei requisiti necessari per gli anziani, quindi anche dei pastori (1 Ti 3:2) —, essi non sono «dottori» o meglio «maestri» nel senso pieno del termine, e quindi non sono affatto obbligati ad affaticarsi nell’insegnamento e nella predicazione (1 Ti 5:17) [5].
Allo stesso modo, è errato concludere che tutti i «dottori» abbiano ricevuto la chiamata di «pastori», poiché si tratta di due ministeri distinti e separati, come distinti e separati sono gli apostoli e i profeti. Infatti, sappiamo per esperienza quanti ottimi insegnanti sono dei pessimi pastori e viceversa. Questa interpretazione trova il conforto non solo della grammatica greca e del buonsenso, ma anche del contesto biblico generale.
Il contesto biblico
Va ricordato che mentre il sostantivo «pastore», riferito al ministero, ricorre una volta sola in tutta la Bibbia (proprio qui, in Ef 4:11), non è cosí per il «dottore».
Se di ministero, attendiamo al ministero; se d’insegnamento, all’insegnare (Ro 12:7).
Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori (1 Co 12:28).
Nella chiesa che era ad Antiochia c’erano profeti e dottori (At 13:1).
Si noti come il ministero del «dottore» emerga con evidenza tutta propria e non come attribuzione. Nel brano di Romani 12:7 il dono d’insegnamento (lett.: «colui che insegna») [6] è chiaramente indicato come specifico rispetto agli altri, mentre in 1 Corinzi 12:28, fra i doni che Dio ha posto nella chiesa, quello di «dottore» è collocato senza possibilità di equivoco come «terzo» dopo quello di apostolo e di profeta.
In Atti 13 poi viene affermato in modo incontrovertibile che in Antiochia vi erano «profeti e dottori», ossia due categorie chiaramente indicate come distinte tra loro, senza alcuna menzione dei «pastori».
Quindi, alla luce di quanto detto, non possiamo che concludere che i ministeri di Efesini 4:11 sono cinque e non quattro, come peraltro sostengono la maggior parte degli studiosi [7], inclusi molti pentecostali [8].
NOTE
Wayne Grudem, Systematic Theology, op. cit., pp. 918, 919 (mia la parentesi).
John MacArthur, Il piano di Cristo per laChiesa, ed. Aurora Mission e Associazione Verità Evangelica, Roma 2002, p. 247.
G. Sharp, Remarks onthe Uses ofthe DefinitiveArticleinthe Greek Text of the New Testament (4-5 rule 1), cit. in Daniel B. Wallace, «The Semantic Range of the Article-Noun-kài-Noun Plural Construction in the New Testament», Grace TheologicalJournal 4:1 (1983), pp. 59-84.
D. B. Wallace, op.cit., Grace TheologicalJournal 4:1 (1983), pp.63-66; Daniel B. Wallace, Greek Grammar, Beyond theBasics:An Exegetical Syntax of the New Testament, Zondervan, Grand Rapids, Michigan 1992, pp. 270-277.
Vd. pp. 159, 160 del volume “Dov’è la Chiesa?”. D’altra parte, anche gli apostoli insegnano pur non essendo maestri (cfr. At 2:42).
Participio del verbo didáskō, «colui che insegna», «l’insegnante».
Vd. John Calvin, The Epistles of Paul the Apostle to the Galatians, Ephesians, Philippians and Colossians, tr. T.H.L. Parker, Grand Rapids, Eerdmans, 1965, p. 179; Andrew T. Lincoln, Ephesians, Word Biblical Commentary, Dallas, 1990, p. 250; John R.W. Stott, The Message of Ephesians, Bible Speaks Today, Downers Grove, IL, InterVarsity Press 1979, pp. 159–60.
Matthew D. Green, Tommy Barnett, Gary B. McGee, in Matthew D. Green (a cura di), Understanding the Fivefold Ministry, Charisma House, Lake Mary, Florida, 2005, pp. 127-129, 131-136, 167-174; G. Raymond Carlson, «The Ministry Gifts of Ephesians 4», Paraclete, “Assemblies of God”, Springfield, Missouri, vol. 17, nr. 2, 1983, pp. 7-9.
Fonte:Dov’è la Chiesa? Il regno di Dio fatto carne, ed. Maranatha Media Production, Montreal 2012, da pag. 167 a pag. 171.
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